Nel 2024 i contratti di rete attivi in Italia sono cresciuti dell’8,1% rispetto all’anno precedente, coinvolgendo oltre 50.000 imprese (Centro Studi di Unimpresa). Un dato che conferma come il modello aggregativo stia guadagnando terreno tra le PMI italiane, storicamente restie a percorsi di collaborazione strutturata. Ma quali sono gli ostacoli che ancora frenano queste esperienze, e come possono gli incentivi fiscali e contributivi rendere più sostenibile e attrattivo il cammino delle reti?
Secondo Raffaele Di Capua, fondatore dello studio Di Capua & Partners, il nodo centrale resta culturale. “Il tessuto imprenditoriale italiano è fatto di piccoli e medi imprenditori, spesso self made men, dotati di grande intuito ma profondamente individualisti. Faticano a riconoscere nell’altro un ‘pari livello’ con cui condividere strategie e decisioni, percependolo più come concorrente che come alleato. Questo frena la costruzione di percorsi unitari e duraturi. Gli incentivi fiscali e contributivi sono utili, ma senza un cambio di mentalità restano strumenti parzialmente efficaci. I consulenti legali e fiscali possono svolgere un ruolo decisivo nel rendere più agevole e sicuro un percorso di aggregazione: aiutano le imprese a superare diffidenze iniziali, strutturano contratti chiari e sostenibili, garantiscono la tutela degli interessi di ciascun partecipante e individuano le agevolazioni disponibili. In questo modo trasformano un’idea di collaborazione in un progetto concreto e duraturo”.
Un punto condiviso anche da Walter Pugliese, partner di Proactiva Corporate & Tax, che parla di “resistenza al cambiamento” tipica delle imprese familiari, dove la governance è accentrata e la collaborazione strutturata viene vissuta come una minaccia all’autonomia. “Molte PMI italiane sono realtà a conduzione familiare, con una governance accentrata che si traduce in diffidenza verso la collaborazione strutturata, spesso percepita come una minaccia alla propria autonomia decisionale o come un rischio di dispersione di know-how. Dal punto di vista tecnico, anche la scarsa conoscenza degli strumenti contrattuali (come il contratto di rete) e dei regimi fiscali applicabili contribuisce a frenare l’adozione di modelli aggregativi. Infine, le competenze manageriali per gestire sinergie complesse tra aziende diverse sono ancora poco diffuse nel tessuto delle micro e piccole imprese. Le reti d’impresa permettono di superare i limiti dimensionali senza ricorrere a fusioni od operazioni straordinarie, grazie a una cooperazione contrattualmente regolata. I vantaggi sono molteplici: accesso congiunto a bandi e incentivi pubblici, condivisione di funzioni strategiche (come la logistica, l’export, la R&S), maggiore capacità di investimento in tecnologie e digitalizzazione. Nella nostra esperienza professionale, tuttavia, è più frequente che le aggregazioni avvengano tramite cessione della azienda a investitori istituzionali che aggregano più che tramite la formazione di reti di impresa”.
Gli strumenti giuridici ed economici, tuttavia, non mancano. Come ricorda Fulvio Degrassi, founding partner di Mint Solutions, “le reti di impresa sono oggi uno degli strumenti più efficaci per favorire la crescita e la competitività delle PMI, poiché consentono di sviluppare progetti comuni mantenendo la piena autonomia operativa delle singole aziende. Per incentivarne la diffusione, il legislatore ha introdotto diverse misure dedicate: tra le principali, i contributi a fondo perduto e i crediti d’imposta per progetti di innovazione e digitalizzazione realizzati in rete, le agevolazioni per la formazione congiunta (ad esempio attraverso il Fondo Nuove Competenze) e i punteggi premiali riconosciuti nei bandi e negli strumenti di politica industriale quando le imprese partecipano in forma aggregata.
I vantaggi per le PMI sono significativi: la collaborazione consente di condividere costi e risorse, riducendo i costi fissi individuali, e di accedere più facilmente a tecnologie innovative e competenze specialistiche. Le reti aumentano inoltre la capacità competitiva sui mercati, rafforzano il potere contrattuale con clienti e fornitori e permettono di partecipare a gare e progetti di maggiori dimensioni rispetto a quanto sarebbe possibile singolarmente. La diffusione dello strumento incontra tuttavia ostacoli principalmente di natura culturale e organizzativa. In questo scenario, il ruolo dei professionisti è fondamentale: i consulenti legali possono predisporre contratti di rete chiari e tutelanti, i commercialisti possono strutturare modelli di riparto dei costi e dei benefici e individuare le agevolazioni più adatte, possono facilitare il dialogo tra le imprese, definire obiettivi condivisi e accompagnare la creazione di una governance efficace. In questo modo la rete diventa uno strumento concreto e duraturo di sviluppo competitivo”.
Gli incentivi fiscali e contributivi diventano così leve fondamentali per abbattere barriere economiche e psicologiche. “Le reti d’impresa funzionano quando generano vantaggi immediati e tangibili, come acquisti congiunti, investimenti in innovazione, apertura a nuovi mercati ed export – sottolinea Giuseppe Carteni, partner di LEAD Studio Legale – In questo contesto, gli incentivi fiscali e contributivi, in particolare quelli legati a ricerca, digitalizzazione e sviluppo tecnologico, si rivelano fondamentali per rendere sostenibili investimenti che, da soli, sarebbero spesso proibitivi. Il ruolo dei consulenti legali e fiscali diventa allora cruciale: strutturare contratti chiari negli impegni reciproci, garantire certezza giuridica e trasparenza, costruire modelli di governance condivisa. Solo così è possibile trasformare un progetto complesso in un’opportunità concreta di crescita, rafforzando la competitività delle imprese e riducendo le incertezze che ancora oggi frenano la nascita di reti più solide e durature”.
Non tutti, però, concordano sul ruolo centrale degli incentivi. Paolo Borghi, partner dello studio Moore Professionisti Associati sottolinea come “un’aggregazione di rete non può basarsi solo su incentivi fiscali o contributivi, ma deve avere valide e solide ragioni strategiche ed economiche di lungo periodo. Questo elemento è di gran lunga più importante degli aspetti normativi e fiscali. Strutture economiche, quali le reti sono, create al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali non avranno successo. Diversamente aggregazioni di imprese basate su obiettivi comuni, correttamente identificati, e tra imprese che condividono gli stessi valori potranno avere un successo duraturo. Ad esempio, l’innovazione tecnologia richiede investimenti tali che difficilmente singole PMI di minori dimensioni possono effettuare. L’aggregazione in rete può consentire di suddividere tali investimenti in più imprese, rendendolo accessibile. Anche l’export può essere un bel esempio: la partecipazione a fiere estere, così come l’apertura di un canale distributivo può essere proibitivo per una singola impresa, ma per un ‘insieme’, che sia una rete, un distretto produttivo e qualsiasi altra forma di ‘aggregazione’ può essere concretamente fattibile. Sicuramente un vantaggio della rete è la condivisione di know how. Se una rete raggiungesse l’obiettivo di mettere a fattor comune i singoli know how, si avrebbero notevoli vantaggi per la rete stessa e, di riflesso, per le singole imprese partecipanti. La rete è ancora uno strumento poco utilizzato anche perché poco conosciuto”.
In questo scenario, la funzione dei consulenti legali e fiscali diventa determinante. Non solo per individuare agevolazioni e strumenti, ma anche per accompagnare le imprese nella definizione di regole condivise, nella gestione dei rapporti interni e nella costruzione di fiducia reciproca. La crescita delle reti d’impresa, dunque, non è solo una questione di norme o contributi. È un percorso che richiede cultura, visione e fiducia. Gli incentivi fiscali e contributivi possono rappresentare la spinta necessaria, ma la vera sfida è far sì che le PMI italiane riconoscano nell’aggregazione non una perdita di autonomia, bensì un’opportunità di competitività, innovazione e futuro condiviso.