Startup italiane, solo il 10% sopravvive oltre i cinque anni. L’esperto europeo: “Non mancano le idee, ma metodo e risorse”

Secondo i dati globali, circa 9 startup su 10 falliscono.

Solo nel 2024, il trend di startup fallite è aumentato del 25,6% rispetto all’anno precedente solo negli Stati Uniti.

Ma se la voglia di fare impresa non manca, ciò che continua a mancare è un ecosistema capace di accompagnare davvero le startup dalla nascita alla crescita.

Nel mondo delle startup le idee sono diventate commodities: circolano ovunque, si moltiplicano ogni giorno, ma nella maggior parte dei casi restano ferme nei cassetti, o peggio, muoiono dopo pochi mesi. Il motivo?

Non è l’idea che fa la differenza, ma la capacità di eseguirla bene.

Secondo i dati di Startup Genome, il 90% delle startup fallisce entro cinque anni. In Italia, questo numero si riflette in una triste statistica: solo il 10% sopravvive. E no, non è per mancanza di creatività. È per assenza di metodo, di competenze reali e di una cultura d’impresa all’altezza delle sfide attuali.

A mancare, in molti casi, non è l’innovazione, ma la capacità di trasformarla in un’impresa economicamente sostenibile.

Una startup non è una scommessa: è una macchina complessa da far funzionare, ogni giorno, con lucidità e pragmatismo”, spiega Nicola Zanetti, fondatore di B-PlanNow, autore del libro Startup Fundamentals e protagonista dell’ecosistema europeo tra InnovUp, Italian Tech Alliance, Bulgarian Venture Capital Association e Besco “Oggi, fare impresa significa saper governare l’incertezza. Chi guida una startup deve essere un manager della complessità, capace di leggere i mercati in movimento, anticipare i cambiamenti e formarsi costantemente – in verticale (sul proprio settore) e in orizzontale (su strategia, execution, marketing, finanza). La differenza tra chi scala e chi si arena si gioca qui: nella capacità di prendere decisioni rapide, informate e adattive. E serve una preparazione che non si improvvisa”.

Negli ultimi quindici anni Zanetti ha lavorato con centinaia di team in fase pre-seed e seed tra Italia ed Europa dell’Est, divulgando i temi legati all’imprenditorialità anche nel suo blog, seguito da oltre 10.000 lettori ogni mese.

Fare impresa non è un atto creativo fine a sé stesso, ma un processo decisionale continuo che deve poggiare su basi solide: dati, metriche, insight quantitativi e qualitativi. È finita l’era delle scelte “di pancia”. Oggi, chi non sa leggere il contesto, analizzare il comportamento del cliente, comprendere i pattern di acquisto e monitorare in tempo reale le performance delle proprie azioni è semplicemente tagliato fuori. L’imprenditoria moderna vive di analisi predittiva continua Zanetti.

Secondo la sua analisi, il motivo principale per cui molte startup non superano nemmeno il primo anno è, infatti, la mancanza di competenze manageriali trasversali: pianificazione strategica, gestione finanziaria, organizzazione del lavoro e visione operativa.

L’errore più comune tra chi si affaccia al mondo dell’imprenditoria – e in particolare delle startup – è credere che un’intuizione brillante sia sufficiente per costruire un business di successo. Ma la realtà è molto diversa. Un’idea, per quanto affascinante, senza numeri resta un’opinione. E oggi, nel mercato attuale, le opinioni non bastano più” continua Zanetti “Ai primi posti tra le cause di fallimento ci sono l’esaurimento dei fondi, l’assenza di un mercato effettivo, business model fragili, problemi di pricing e difficoltà interne al team. Tutti elementi che derivano da una preparazione insufficiente su come guidare un’impresa, più che da una carenza di idee”.

A questi limiti si sommano ostacoli più strutturali.

La carenza di fondi nella fase pre-seed è uno dei più critici: è proprio in questo stadio che i founder devono validare l’idea, iniziare a testare il prodotto e organizzare il team, spesso senza disporre di risorse minime.

Anche l’accesso a fondi europei, sebbene teoricamente possibile, si rivela spesso fuori portata per chi è alle primissime fasi, a causa dei requisiti richiesti e degli alti costi di preparazione della domanda.

L’ecosistema italiano rimane inoltre frammentato: le connessioni tra startup, investitori, enti pubblici e acceleratori sono sporadiche e non sempre efficaci.

“L’Italia è piena di energie imprenditoriali, ma manca una rete solida e continua che accompagni le startup nei primi mille giorni, quando la sopravvivenza si gioca su pochi margini”.

Dall’esperienza sul campo, Zanetti ha anche individuato cinque errori ricorrenti che accomunano molte startup che non riescono a crescere:

  1. Non validare il bisogno di mercato prima di costruire il prodotto
  2. Non avere un business model chiaro e innovativo fin dall’inizio
  3. Comunicare in modo vago, senza un posizionamento nitido
  4. Cercare fondi troppo presto, senza numeri né strategia
  5. Affrontare tutto da soli, senza mentor né visione esterna

Infatti, secondo un’indagine di Stripe, circa il 35% delle startup che fallisce scopre che non c’è una vera domanda di mercato per il prodotto o servizio sviluppato.

Una buona idea non è automaticamente un buon business. Senza validazione, il rischio è costruire un castello nel deserto. E la raccolta fondi non è un punto di partenza, è un punto d’arrivo”.

Per rispondere a queste criticità, Zanetti ha sviluppato il metodo ScaleUp, un approccio operativo articolato in sei fasi: modello di business, Validazione, Posizionamento, Go-to-market, Modello economico e KPI, fundraising.

Un percorso non standardizzato, ma modellato su contesto reale, risorse e mercato. “Ogni progetto ha bisogno di strumenti concreti ad hoc per decidere meglio. E farlo subito.

E in un contesto in cui le risorse economiche scarseggiano proprio nei momenti più delicati e in cui la narrazione sulle startup è spesso più ottimistica che realistica, la vera sfida per l’Italia è aiutare chi ha idee a renderle resistenti nel tempo.

La priorità oggi non è moltiplicare le startup, ma fare in modo che quelle che esistono diventino aziende vere. Fare impresa oggi è – o dovrebbe essere – una scienza applicata. Ogni mossa può (e deve) essere validata. Ogni strategia può essere testata. Ogni investimento può essere ottimizzato. Questo non significa togliere spazio alla creatività, ma incanalarla dentro un processo strutturato, misurabile e replicabile. ll mio obiettivo è sempre stato creare scaleup profittevoli e non unicorni da vetrina, capaci di stare sul mercato per anni, e far crescere il capitale dei soci e degli investitori”.

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