Unimpresa: la Bce taglia i tassi, ma famiglie e imprese pagano come tre anni fa

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Costo del credito alle stelle. I tassi applicati dalle banche per mutui alle famiglie e prestiti alle imprese sono tornati, di fatto, sui livelli di tre anni fa, nonostante oggi il costo del denaro sia più basso di allora. A dicembre 2022, infatti, i mutui registravano un tasso medio del 3,36% e i finanziamenti alle imprese del 3,55%, con un tasso Bce al 2,5%. Oggi, ottobre 2025, il costo del denaro è sceso al 2%, quindi 50 punti base in meno rispetto a quel periodo, ma i tassi bancari risultano più alti o comunque allineati a quelli di fine 2022: 3,73% per i mutui e 3,52% per i prestiti alle imprese. Il confronto mette in evidenza una trasmissione lenta e parziale della politica monetaria: nonostante la significativa riduzione del tasso di riferimento, famiglie e aziende continuano a pagare interessi analoghi – se non superiori – a quelli del 2022, quando la liquidità era sensibilmente più costosa.

È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa, dopo la pubblicazione degli ultimi dati della Banca d’Italia.  «I dati confermano una dinamica che non possiamo ignorare: mentre il costo del denaro è tornato ai livelli pre-stretta, i tassi applicati a famiglie e imprese restano sostanzialmente quelli di tre anni fa. È una distanza che pesa sull’economia reale e che rischia di frenare investimenti, consumi e la ripresa già in atto. In questa fase, riteniamo indispensabile che il governo eserciti una moral suasion ferma ma costruttiva nei confronti del sistema bancario, affinché gli impulsi della politica monetaria della Bce si traducano davvero in condizioni più favorevoli per chi produce e per chi desidera acquistare una casa. Non si tratta di chiedere forzature, ma di favorire un clima di responsabilità condivisa: l’allentamento dei tassi deve arrivare anche a famiglie e imprese, perché la fiducia, che è la vera infrastruttura dello sviluppo, si alimenta con scelte coerenti e con una trasmissione più leale dei benefici che oggi la congiuntura offre» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha analizzato le statistiche della Banca d’Italia, i tassi applicati dalle banche a mutui per le famiglie e prestiti alle imprese sono tornati sostanzialmente sui livelli di tre anni fa, nonostante oggi il costo del denaro sia più basso rispetto a quel periodo. Nel dicembre 2022, con un tasso Bce al 2,5%, i mutui si collocavano al 3,36% e i finanziamenti alle imprese al 3,55%. Oggi, ottobre 2025, il tasso ufficiale è sceso al 2%, quindi 50 punti base in meno, ma i tassi bancari risultano addirittura più elevati: 3,73% per i mutui e 3,52% per i prestiti alle imprese. Tale confronto mette in evidenza una persistente rigidità nella trasmissione della politica monetaria: di fronte alla progressiva normalizzazione del costo della liquidità, famiglie e aziende continuano a confrontarsi con condizioni di credito che non riflettono pienamente l’allentamento deciso dalla Bce, segno che il settore bancario continua a incorporare premi per il rischio e margini difensivi più vicini alla fase restrittiva che non a quella attuale.

Nel dicembre 2022 il costo del denaro fissato dalla Bce era al 2,50%, con tassi medi sui mutui al 3,36% e prestiti alle imprese al 3,55%. Dodici mesi dopo, a dicembre 2023, la stretta monetaria porta il tasso ufficiale al 4,50%, mentre i mutui salgono al 4,82% e il credito alle imprese tocca il 5,45%, segnando i livelli più elevati del ciclo. Nel 2024 inizia la discesa: a dicembre il costo del denaro scende al 3,00%, e pur con un calo degli interessi bancari, i mutui restano al 3,55% e i prestiti alle imprese al 4,40%. Nel 2025 la Bce accelera il percorso espansivo: 2,75% a gennaio e febbraio, 2,50% a marzo, fino al 2,00% da maggio in avanti, livello mantenuto fino a ottobre. Nonostante ciò, la trasmissione ai tassi applicati è lenta: i mutui oscillano tra il 3,50% di gennaio e il 3,73% di ottobre, muovendosi sempre su valori superiori al 3,5% e mostrando una risalita nella seconda parte dell’anno. Ancora più evidente l’anomalia sui prestiti alle imprese: dal 4,13% di gennaio si scende progressivamente fino al 3,38% di settembre, ma a ottobre il tasso risale al 3,52%, segnando un’inversione di tendenza proprio mentre il costo del denaro resta stabile ai minimi del ciclo.

La discesa del costo del denaro decisa dalla Banca centrale europea non si sta trasferendo con la stessa rapidità ai tassi applicati dalle banche. È questo, oggi, il nodo principale del mercato del credito in Italia: mentre la Bce ha riportato il tasso di riferimento dal picco del 4,5% di dicembre 2023 al 2% stabile da maggio 2025, famiglie e imprese continuano a fare i conti con condizioni finanziarie ancora onerose. La trasmissione della politica monetaria appare insomma lenta, irregolare e incompleta, segno che la normalizzazione non ha ancora raggiunto pienamente l’economia reale.

Il primo campanello d’allarme arriva dal credito alle imprese. Dopo una fase di riduzione nei primi mesi del 2025, i tassi medi sui prestiti hanno ricominciato a salire: dal minimo del 3,38% di settembre sono risaliti al 3,52% in ottobre, invertendo la tendenza nonostante il tasso Bce sia rimasto invariato. Il mercato corporate, tradizionalmente più sensibile ai movimenti del costo della liquidità, mostra dunque un irrigidimento inatteso. A pesare sono diversi fattori: margini bancari ancora compressi dopo due anni di forte volatilità, rischio di credito percepito in aumento in alcuni settori, minor dinamismo degli investimenti e un contesto geopolitico che riduce la propensione delle banche a esporsi sul medio-lungo termine. Il risultato è chiaro: per le imprese, il credito è tornato a costare di più, proprio quando sarebbe necessario sostenere investimenti, innovazione e capitale circolante.

Non va meglio alle famiglie. Nonostante il costo ufficiale della liquidità sia stato tagliato in modo significativo, i mutui continuano a essere sempre più cari: dal 3,55% di fine 2024 si è saliti al 3,73% di ottobre 2025, segnando un incremento continuo e quasi strutturale. È un fenomeno ricorrente nei cicli di discesa dei tassi: il settore immobiliare reagisce più lentamente, ma oggi pesa anche una componente regolamentare consistente. Le norme europee che classificano gli immobili non efficienti dal punto di vista energetico come più rischiosi per il sistema bancario impongono alle banche maggiori accantonamenti e, di conseguenza, tassi più elevati sui mutui per le case non green. A questo si aggiunge la prudenza delle banche, che hanno vissuto negli ultimi anni un aumento significativo del rischio di credito potenziale e ora faticano a trasferire integralmente i benefici del minor costo della provvista.

Il quadro complessivo mette in luce una contraddizione evidente: la politica monetaria si sta allentando, ma la condizione finanziaria di famiglie e imprese resta restrittiva. La riduzione del costo del denaro, pur sostanziale, non ha ancora permesso un alleggerimento significativo del costo del credito. Le banche si muovono con cautela, calibrando spread e condizioni in base al rischio percepito e alla prospettiva macroeconomica, e il risultato è un mercato in cui i tassi praticati rimangono più alti di quanto ci si potrebbe attendere. La distanza tra tassi ufficiali e tassi applicati è oggi uno dei principali fattori che rallentano la piena ripresa della domanda interna. Le imprese rinviano investimenti e programmi di crescita; le famiglie, soprattutto quelle più esposte a mutui variabili o in fase di acquisto della prima casa, si trovano di fronte a condizioni poco favorevoli. Mentre la Bce ha già completato gran parte del suo ciclo di normalizzazione, la trasmissione all’economia reale procede con molta più lentezza. Perché i tagli dei tassi si traducano in un effettivo miglioramento delle condizioni finanziarie sarà necessario che il sistema bancario recuperi spazi di manovra, riduca gradualmente i premi per il rischio e torni a trasferire con maggiore fluidità gli impulsi della politica monetaria. Fino ad allora, imprese e famiglie continueranno a misurarsi con tassi ancora elevati e un credito che, di fatto, non è ancora tornato conveniente.

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