Il sistema delle piccole e medie imprese italiane conferma nel 2025 una capacità di tenuta strutturale, pur in un contesto di crescita economica debole e condizioni operative ancora complesse. Le pmi rappresentano il 99% del tessuto produttivo nazionale, con circa 4,9 milioni di imprese e oltre 14 milioni di addetti, e mostrano segnali di trasformazione più che di arretramento. I dati indicano una dinamica positiva delle società di capitale, che registrano un saldo attivo di 13.358 unità (+0,7%), segno di una maggiore strutturazione del sistema produttivo. Crescono anche i servizi avanzati – consulenza, IT e innovazione – con 2.795 nuove imprese (+1,10%), mentre il Centro Italia, in particolare Roma, evidenzia una vitalità superiore alla media. In calo, invece, le imprese individuali (-11.597 unità) e le società di persone (-4.316), con difficoltà più marcate nei settori tradizionali come commercio e artigianato.
È quanto segnala Unimpresa, secondo cui sul fronte macroeconomico, la crescita del pil nel 2025 è stimata allo 0,5% ed è sostenuta quasi interamente dalla domanda interna, che contribuisce per 1,1 punti percentuali. I consumi delle famiglie crescono dello 0,8%, ma restano condizionati dal calo del potere d’acquisto (-0,6% nel quarto trimestre 2024) e da retribuzioni reali ancora inferiori dell’8,8% rispetto ai livelli pre-inflazione del gennaio 2021. In diminuzione anche la propensione al risparmio, scesa dal 9,1% all’8,5%. I conti pubblici beneficiano di un andamento favorevole delle entrate.
Nel 2024 le entrate fiscali e contributive sono aumentate del 5,7%, a fronte di una crescita del pil nominale del 2,9%. Nei primi dieci mesi del 2025 le entrate tributarie erariali hanno raggiunto 471,6 miliardi di euro, in aumento di 9,3 miliardi (+2%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La crescita è trainata soprattutto dalle imposte indirette (+4,3%, pari a 8,4 miliardi), mentre le imposte dirette segnano un incremento più contenuto (+0,4%, circa 940 milioni). Restano tuttavia rilevanti le criticità per le pmi. Il costo del credito continua a essere elevato, con tassi di interesse superiori al 5%, che frenano investimenti e accesso ai finanziamenti. A ciò si aggiunge una pressione fiscale salita al 42,6% nel 2024, in aumento di 1,2 punti percentuali rispetto al 2023 e ai livelli più alti degli ultimi anni, con effetti particolarmente gravosi per le imprese di minori dimensioni. Nel complesso, il quadro che emerge è quello di un sistema produttivo resiliente ma sotto stress, in cui la capacità di adattamento delle pmi convive con una crescita fragile, un carico fiscale elevato e condizioni finanziarie restrittive.
«Le pmi non chiedono assistenzialismo, ma condizioni eque per competere. Il richiamo al “cambio di passo” nasce dalla consapevolezza che la resilienza, da sola, non è infinita. Senza un alleggerimento concreto del carico fiscale, una riduzione della burocrazia e un quadro di politiche più stabili, anche il tessuto imprenditoriale più resistente rischia di arrivare al limite» commenta il consigliere nazionale di Unimprresa, Marco Salustri.
Dinamica delle imprese e struttura delle pmi. Il sistema delle piccole e medie imprese italiane conferma nel 2025 il proprio ruolo centrale nell’economia nazionale. Con circa 4,9 milioni di aziende, pari al 99% del totale delle imprese attive, e oltre 14 milioni di addetti, le pmi continuano a rappresentare l’ossatura produttiva del Paese. Nonostante un contesto macroeconomico complesso, i dati mostrano segnali di adattamento e trasformazione del tessuto imprenditoriale. In particolare, emerge una dinamica positiva delle società di capitale, che registrano un saldo attivo di 13.358 unità, con una crescita dello 0,7%. Questo dato segnala una progressiva strutturazione delle imprese, una maggiore patrimonializzazione e una ricerca di modelli organizzativi più solidi, capaci di affrontare mercati più complessi e regolamentati. All’interno di questa evoluzione si colloca anche la crescita dei servizi avanzati, dalla consulenza all’IT fino alle attività legate all’innovazione, che aumentano di 2.795 unità, pari a un +1,10%. È un segnale di spostamento del baricentro produttivo verso attività a maggiore valore aggiunto e intensità di conoscenza. Dal punto di vista territoriale, il Centro Italia mostra una vitalità superiore alla media, trainata in particolare dall’area di Roma, che beneficia di una maggiore concentrazione di servizi avanzati e di domanda qualificata. Parallelamente, il sistema produttivo registra una contrazione delle forme imprenditoriali più fragili: le imprese individuali diminuiscono di 11.597 unità e le società di persone di 4.316 unità. Il ridimensionamento colpisce soprattutto il commercio tradizionale e l’artigianato, settori storicamente diffusi nei centri urbani, dove si osservano fenomeni sempre più evidenti di desertificazione commerciale.
Domanda interna e consumi. La crescita economica prevista per il 2025 resta modesta, con un pil stimato in aumento dello 0,5%, ma il contributo principale continua a provenire dalla domanda interna, che apporta 1,1 punti percentuali alla crescita complessiva. Si tratta di un elemento di stabilità importante, soprattutto in una fase di incertezza internazionale, che conferma il ruolo del mercato domestico come ancora di tenuta dell’economia italiana. Tuttavia, all’interno della domanda interna, i consumi delle famiglie mostrano una dinamica più contenuta, con una crescita dello 0,8%. Questo andamento riflette un contesto in cui il potere d’acquisto resta sotto pressione. Nel quarto trimestre del 2024, il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito dello 0,6%, mentre la propensione al risparmio è scesa dal 9,1% all’8,5%, segnale che una parte delle famiglie ha già utilizzato le proprie riserve per sostenere i livelli di spesa. Le retribuzioni reali, pur mostrando segnali di recupero nel corso del 2025, rimangono ancora inferiori dell’8,8% rispetto ai livelli di gennaio 2021, cioè prima della fiammata inflazionistica.
Entrate fiscali ed entrate tributarie. Sul fronte dei conti pubblici, i dati mostrano una dinamica delle entrate decisamente robusta. Nel 2024 le entrate fiscali e contributive sono aumentate del 5,7%, a fronte di una crescita del pil nominale del 2,9%. Questo scarto spiega l’aumento della pressione fiscale e testimonia la capacità del sistema tributario di intercettare la base imponibile in una fase di crescita economica moderata. Nel 2025, nei primi dieci mesi dell’anno, le entrate tributarie erariali hanno raggiunto i 471,6 miliardi di euro, con un incremento di 9,3 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2024, pari a una crescita del 2%. L’andamento è sostenuto in particolare dalle imposte indirette, che aumentano del 4,3%, corrispondente a circa 8,4 miliardi di euro, trainate dall’Iva. Le imposte dirette mostrano invece una crescita più contenuta, pari allo 0,4%, ovvero circa 940 milioni di euro.
Credito e condizioni finanziarie. Accanto agli elementi di stabilità, permangono criticità rilevanti sul fronte finanziario. Le pmi continuano a operare in un contesto di costo del denaro elevato, con tassi di interesse sul credito che si mantengono, in media, sopra il 5%. Questo livello dei tassi incide direttamente sulla capacità delle imprese di finanziare investimenti, capitale circolante e processi di innovazione. Per le imprese di minori dimensioni, spesso caratterizzate da una struttura finanziaria più fragile, l’accesso al credito resta complesso e oneroso. L’elevato costo del finanziamento riduce la propensione a investire e accentua la selettività delle decisioni imprenditoriali, contribuendo a rallentare i percorsi di crescita, soprattutto nei settori tradizionali e a bassa marginalità.
Pressione fiscale. Il quadro si completa con il tema della pressione fiscale, che nel 2024 ha raggiunto il 42,6%, in aumento di 1,2 punti percentuali rispetto al 41,4% del 2023. Si tratta di uno dei livelli più elevati degli ultimi anni, paragonabile a quelli del periodo 2020-2021. Il dato del 50,6%, talvolta richiamato nel dibattito pubblico, riguarda esclusivamente il quarto trimestre del 2024 e non rappresenta la media annua, che resta comunque su valori molto alti.L’aumento della pressione fiscale è il risultato di una crescita delle entrate più rapida rispetto a quella dell’economia. Questo squilibrio pesa in modo particolare sulle pmi, che operano con margini ridotti e minore capacità di assorbire incrementi del carico tributario. In un contesto di crescita del pil limitata allo 0,5%, il livello della pressione fiscale rappresenta un fattore di compressione della redditività e della capacità di investimento delle imprese, contribuendo a rendere più fragile l’equilibrio complessivo del sistema produttivo.
«Il quadro che emerge è quello di un sistema imprenditoriale che tiene, ma al prezzo di uno sforzo crescente. Le pmi continuano a dimostrare resilienza, tuttavia il 2025 si presenta come un passaggio delicato, segnato da un carico fiscale elevato, margini compressi e una crescita economica che fatica a consolidarsi. La sensazione diffusa tra gli imprenditori è quella di operare in un contesto sempre più oneroso, nel quale ogni incremento della pressione fiscale riduce lo spazio per investimenti, assunzioni e innovazione. Sul fronte dei rapporti con lo Stato, prevale una percezione di squilibrio. Le entrate pubbliche crescono, ma le imprese avvertono che il ritorno in termini di semplificazione, servizi e sostegno concreto resta insufficiente. Il fisco appare come un meccanismo efficiente nella capacità di prelievo, meno nella restituzione di condizioni favorevoli all’attività produttiva. Da qui la richiesta di un sistema tributario più leggero e soprattutto prevedibile, che consenta di pianificare il futuro senza continui cambi di regole e scadenze. Un nodo centrale resta la burocrazia. Le pmi chiedono una semplificazione reale, non annunciata. Il tempo e le risorse assorbite dagli adempimenti amministrativi sottraggono energie all’attività imprenditoriale vera e propria, con l’effetto paradossale di frenare proprio quella crescita che il sistema pubblico dichiara di voler sostenere. Anche sul versante delle politiche economiche emerge una critica netta: gli incentivi episodici e di breve durata non favoriscono scelte strategiche. Le imprese chiedono politiche industriali di medio-lungo periodo, con strumenti stabili su innovazione, digitalizzazione, transizione energetica e competenze, capaci di accompagnare investimenti strutturali e non decisioni tattiche. Infine, pesa l’indebolimento della domanda interna. Consumatori più prudenti, attenti ai prezzi e inclini a rinviare gli acquisti alimentano un circolo vizioso che frena i ricavi e comprime i margini delle imprese, soprattutto di quelle più piccole e legate al mercato domestico» spiega il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Salustri.
