Will to manage: 7 passi per reagire al meglio a ciò che ci capita

 Will to manage: 7 passi per reagire al meglio a ciò che ci capita

Viviamo in un mondo imprevedibile, veloce e senza certezze.

Vorremmo che tutto fosse buono, di facile interpretazione e controllabile. Ma niente nella vita è così.

L’alluvione che ha travolto l’Emilia-Romagna in questi giorni ne è l’ultima drammatica testimonianza.

La natura umana è complessa, fatta di vari livelli non coerenti fra loro. Eppure, ogni essere umano ha un profondo desiderio di reagire al meglio, di essere all’altezza delle difficoltà.

La società vorrebbe convincerci che la persona intelligente ha strumenti per affrontare ogni cosa. Le nostre conversazioni in effetti sono intrise di giudizi, opinioni, prese di posizione su ogni fatto e ogni persona.

Ci crediamo molto razionali, in realtà non lo siamo affatto.

Il nostro cervello indica che rimangono vivi in noi meccanismi ancestrali: il cervello rettile, dedicato agli istinti di sopravvivenza, rapido, intuitivo, veloce, impreciso. Oltre a quello prefrontale, che si occupa del ragionamento razionale e del linguaggio, lento, si annoia facilmente e spreca molta energia.

Quando prendiamo decisioni economiche, finanziarie, di business, o per uscire da una situazione di emergenza sono entrambi i cervelli ad essere coinvolti, non solo quello razionale. Con questo approccio Daniel Kahneman ha vinto il Nobel per l’economia nel 2002.

Come imprenditori imprenditrici manager professionisti siamo il frutto degli stereotipi della cultura nella quale siamo immersi, delle esperienze fatte e dell’educazione ricevuta.

Da giovani siamo stati forgiati da 3 tipi di imprinting:

il primo tipo: strada in discesa

Alcuni di noi hanno avuto la strada spianata dai genitori. Proprio quelli che si lamentano dell’incapacità dei figli di affrontare gli ostacoli, ne sono stati spesso involontariamente la causa.

Hanno preferito indicare al figlio scorciatoie per evitare di dover sostenere la tensione causata dalle difficoltà.

A volte i genitori fanno minacce, poi non succede niente. Questo abitua i figli all’idea che per quanto qualcuno sembri arrabbiato, loro la scampano sempre.

Ovviamente quando, prima o poi, incontrano qualcuno che è arrabbiato davvero nel lavoro, ne vengono completamente travolti.

Il secondo tipo: impronta aggressiva

Ci sono giovani che hanno subìto genitori aggressivi o che non hanno dato loro valori, amore, rispetto, incoraggiamento.  Giovani che non sono riusciti a sviluppare resilienza, ma invece rabbia, odio. Pensano che la forza e la violenza possano spianare loro la strada.

Ma questo atteggiamento non fa che emarginarli o farli diventare a loro volta ostili e aggressivi.

Il terzo gruppo: piccoli adulti

Sono i giovani esposti a gradi crescenti di responsabilizzazione, a sfide progressivamente più complesse che permettono uno sviluppo adeguato, non solo di resilienza, ma anche di autostima e di forza interiore.

Giovani affiancati da genitori solidi, che non hanno permesso loro di scappare davanti alle sfide. Gli sono stati accanto per supportarli, con forza, incoraggiamento e amore, anche quando nelle sfide hanno fallito.

L’imprinting ricevuto ci condiziona nell’affrontare le difficoltà da adulti. 

Ci condiziona, solo se glielo permettiamo. 

7 passi per adottare un approccio will to manage, cioè l’intenzione e l’energia per reagire al meglio:

  • Fuggi dal mito del controllo

Vorremmo che tutto andasse al meglio, come piace a noi. Ma ci sono cose che non possono essere governate da nostre scelte o decisioni. Questo atteggiamento getta i “controllori” in preda a preoccupazioni, ansie e paure profonde, perché comunque sanno di vivere in un mondo che non gira attorno a loro. Allora si agitano nel tentativo di intervenire sulla realtà.

Sono capi disconfermanti, di cui i collaboratori temono il costante giudizio, le critiche, sempre ingenerose. Coloro che criticano in genere hanno come primo movente la paura. Dalla paura nasce la rabbia, espressione dell’intensità della frustrazione.

Più una critica è rabbiosa, acida, studiata per ferire, più esprime il livello di frustrazione e insoddisfazione della persona che la muove.

  • Evita la trappola di voler piacere a tutti

Siamo animali sociali. E’ inevitabile che quello che pensano gli altri di noi sia rilevante.

Oggi i social offrono facili vetrine. Quindi sviluppare dipendenza dalla reazione degli altri è ancora più diffuso.

Un conto è cercare il feeling e la compagnia di persone a cui siamo affezionati, altro è essere dipendenti dalla approvazione di altri, chiunque essi siano.

  • Gestisci le critiche

Una critica è sempre fastidiosa, ferisce il nostro amor proprio.

Sono sempre le attività e le idee più innovative a spaventare gli insicuri e a indurli a criticare. Arrabbiarsi per le critiche e rimuginarci sopra dà alla critica e a chi l’ha mossa troppo potere. Una critica dice poco della persona criticata e molto di chi la esprime.

Ci sono due casi in cui una critica si rivela utile e diventa un momento di crescita personale: che chi critica non lo abbia fatto per ferirci. E se la critica ha un contenuto utile e interessante per chi la riceve, e apre un’opportunità di riflessione.

“L’unico modo per non essere criticati è non dire nulla, non fare nulla, non essere nulla”, sosteneva Aristotele.

  • La paura è questione di interpretazione

Nel corso della vita la paura prende molte forme: paura della morte, della perdita, del giudizio degli altri, del fallimento. A nessuno piace soffrire. Per questo malattia e sofferenza suscitano ancora più paura della morte. Ma dobbiamo ricordarci che se il dolore è inevitabile, la sofferenza al contrario non lo è.

Il dolore è qualcosa che non dipende da noi, ma da ciò che accade.

La sofferenza, invece, dipende in larga misura una conseguenza della nostra interpretazione, del peso che decidiamo di dare al dolore che stiamo provando.

Cosa dipende sempre e comunque solo da noi? la qualità della nostra interpretazione.

Accettare non è un’attitudine istintiva, è una scelta. L’attaccamento è biologico, radicato nel profondo della nostra storia evolutiva. Espressione del cervello rettile, quello istintivo, rapido, impreciso. Il lasciare andare è invece qualcosa che dobbiamo imparare, acquisire, allenare e possiamo farlo solo con il coinvolgimento della ragione.

  • Assumi la responsabilità

Nella vita può capitare di tutto, perdite, lutti, tragedie, alluvioni, ma come reagiamo e cosa facciamo di ciò che ci capita è una nostra responsabilità.

Dalla violenza può nascere vendetta oppure perdono.

Dalla perdita può nascere rabbia oppure accettazione.

Dalla ricchezza può nascere avidità o gratitudine e generosità.

Dal successo può nascere arroganza o desiderio di condividerlo.

La responsabilità fa paura perché non offre protezione e toglie il beneficio degli alibi. D’altra parte, è indispensabile per trovare l’energia per agire.

Il senso di responsabilità porta all’azione e un’azione efficace allena al coraggio.

Allenarsi a non trovare scuse, a smettere di lamentarsi, ad agire invece di rimandare.

  • Agisci

Assumersi la responsabilità vuol dire prima di tutto capire l’importanza dell’azione.

Agire comporta dei rischi e per questo tante persone restano ferme.

Passare all’azione significa non pensare che l’attesa possa risolvere tutto.

Senza azione tutto si riduce a chiacchiere.

Non puoi farlo.

Quando siamo piccoli, per proteggerci, i nostri genitori ci indicano tutte le cose che non possiamo fare. Per un po’ i divieti riescono a tenerci lontani dal pericolo, anche se spesso ci rendono meno abili a gestirlo. Ma poi, crescendo, questi «no» ci condizionano e ci rendono paurosi. Con il tempo dubbi, insicurezze, paure ci impediscono di vivere la vita che vogliamo e di raggiungere gli obiettivi che ci possono dare vera soddisfazione.

Ma nulla accade se partiamo col presupposto che sia pericoloso o impossibile.

Le false convinzioni sono le zavorre più pesanti che ci portiamo dietro nella vita.

  • Come un atleta

Affronta i limiti come un atleta.

Il tennista André Agassi, al giornalista che gli chiedeva “Cosa ti piace fare di più?” Lui rispose, “Giocare e vincere.” E la seconda? Chiese il giornalista. “Giocare e perdere.” Rispose Agassi.

Fin da giovane, lo sportivo impara ad apprezzare il valore dell’allenamento e dell’impegno per migliorare la performance. Impara subito anche a perdere e a non sentirsi in colpa quando perde.

Impara a riconoscere il valore degli altri giocatori, compagni di squadra o avversari.

Quando perde un atleta non scappa, non si nasconde. Torna ad allenarsi con più determinazione di prima. Impara dalle sconfitte molto più che dalle vittorie.

In Flow

L’atleta ambisce alla perfezione dei gesti e al piacere che tale ricerca gli procura.

È il flow, quello stato di grazia in cui lo sforzo scompare e rimane solo la bellezza di quello che si sta facendo.

È il senso di “benessere” che stanno vivendo i volontari che riempiono i sacchi di sabbia per arginare le acque dei fiumi che hanno rotto gli argini, che portano cibo alle persone isolate, spazzano le strade dal fango, tolgono i detriti dalle case, dalle fattorie, dagli edifici, dalle aziende di persone sconosciute, puliscono scuole e strade nei territori devastati dall’alluvione.

Un’esperienza profondamente personale e al tempo stesso collettiva, che crea valore e benessere nel fare il bene degli altri.

La frase di oggi

Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare.

Winston Churchill

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